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Attacco di Panico: un corpo che urla

Sentirsi dire in una conversazione che l’interlocutore soffre di attacchi di panico ormai non stupisce più! Questa manifestazione ansiosa sembra diffusa e socialmente accettata. Se da una parte ciò ci dà a un’immagine meno stigmatizzata della malattia mental, dall’altra parte c’è il rischio di fare confusione e banalizzare questa forma di sofferenza.

“Avevo le mani sudate, erano  fradice, ma fredde… intanto la testa diventava leggera. Paolo mi parlava, ma io quasi non riuscivo a sentirlo. Ero sicura che sarei svenuta. Avrei voluto alzarmi e uscire di corsa dal ristorante, ma le gambe erano pesanti come il piombo. Il cuore batteva così forte da essere assordante, e rimbombava a martello nelle orecchie…”

La diagnosi del Disturbo di Panico

Queste le parole di Elisa, una ragazza di 25 anni, quando le chiedo di spiegarmi la sensazione che provava durante l’ultimo attacco di panico. Si trovava al ristorante con il suo ragazzo. Quella che vive Elisa è l’esperienza di un corpo che urla così forte da mettere a tacere qualsiasi elemento contestuale. Nel DSM 5, il manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali pubblicato dall’American Psychological Association, i 13 sintomi elencati che consentono di effettuare diagnosi di Disturbo di Panico in caso di attacchi ricorrenti sono:

  1. Palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia
  2. Sudorazione
  3. Tremori fini o a grandi scosse
  4. Dispnea o sensazione di soffocamento
  5. Sensazione di asfissia
  6. Dolore o fastidio al petto
  7. Nausea o disturbi addominali
  8. Sensazione di vertigine, di instabilità, di “testa leggera” o di svenimento
  9. Brividi o vampate di calore
  10. Parestesie (sensazione di torpore o formicolio)
  11. Derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi)
  12. Paura di perdere il controllo o di “impazzire
  13. Paura di morire

La diagnosi di Disturbo di Panico è piuttosto semplice, anzi spesso il paziente arriva con un’autodiagnosi poiché i sintomi sono chiari ed evidenti. Tuttavia è un disturbo che richiede un impegno particolare per far si che i sintomi vengano conttestualizzati, mettendo ordine tra le situazioni di natura relazionale ed interpersonale, che hanno più probabilità di innescare un attacco di panico.

Paura della paura

Dopo quella cena, Elisa aveva chiesto al suo ragazzo di evitare per un po’ i ristoranti; così aveva fatto anche per il corso di nuoto e per le lezioni universitarie. D’un tratto il mondo nel quale aveva sempre camminato spensierata, la terrorizzava. Lo osservava da lontano, atterrita all’idea di dover prendere la metro, fare la coda alla posta, sedersi a lezione di fianco alle sue compagne…

È frequente che in seguito a uno o più attacchi di panico  una persona inizi a mettere in atto dei comportamenti di ritiro sociale, evitando di frequentare luoghi o situazioni che teme possano causare un nuovo attacco. Nei casi più gravi, nei quali la persona non chiede aiuto, è possibile arrivare ad un vero e proprio ritiro sociale: l’agorafobia.

Nel caso di Elisa è stato importante aiutarla a ricercare nel suo racconto il nesso tra l’episodio di panico e la situazione in atto: ogni volta che aveva un attacco riusciva a riferirmi con precisione le sensazioni fisiche. Le era quasi impossibile invece ricondurre l’inizio dell’attacco a una situazione particolare, una frase detta o sentita, un litigio..

Molti studi hanno dimostrato che le persone che soffrono di attacchi di panico sono particolarmente abili nello stimare variazioni dei propri segnali corporei (cambiamenti nella frequenza cardiaca o nel respiro). L’ancoraggio dell’attenzione alle sensazioni corporee si accompagna ad una perdita di contesto, che porta il paziente a vivere questi attacchi come inspiegabili e impossibili da gestire.

La terapia del Disturbo di Panico

Grazie al lavoro terapeutico Elisa ha potuto riappropriarsi di un significato che prima non coglieva:

Le sudavano le mani ogni volta che Paolo le chiedeva di guardare insieme un appartamento in cui andare a vivere insieme. sentiva la testa leggera quando le faceva notare che le coppie di amici stavano convolando a nozze e quando le chiedeva quanto ancora ci avrebbe messo per prendere la laurea.

Gli attacchi  si manifestava soprattutto in situazioni che le imponevano una chiusura, senza lasciarle la possibilità di avere una via di fuga. Tale manifestazione è stata collegata da Elisa ad alcune situazioni della sua vita in cui si sentiva “forzata” a prendere decisioni.

In questo caso il lavoro terapeutico ha consentito ad Elisa di ridurre i sintomi dopo poche sedute; nella seconda fase del lavoro ci siamo concentrate sul riposizionamento esistenziale della ragazza, con l’obiettivo di iniziare a scegliere in maniera più identitaria del suo futuro.

Se ti trovi in una situazione simile o se soffri di sintomi di tipo ansioso, rivolgerti a uno psicologo o a uno psicoterapeuta può essere il modo più funzionale di affrontare il problema. Infatti uno specialista può aiutarti a ritrovare un’accordatura tra emozioni provate, cambiamenti fisiologici e situazione in atto. Se vuoi avere maggiori informazioni a riguardo, puoi mandarmi un messaggio al mio indirizzo e-mail: contatti@martinaacerbi.it oppure tramite il modulo di primo contatto.

 

Martina Acerbi